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Channel: dov'è l'architettura italiana?
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quello che non ho

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Mi piace molto intitolare un post del mio blog di architettura (e non solo...) come la canzone di un grande come De Andrè. Devo dire che si adatta bene, anche se si tratta del contrario di un plurale maiestatis (non so come si dice), perchè quello che non ho si riferisce in realtà a quello che (quasi?) tutti noi italiani non abbiamo. 
L'idea mi è venuta grazie ad un album di Europaconcorsi in cui si possono vedere moltissimi interventi di sistemazione di percorsi pedonali e ciclabili in ambiti cittadini ed extrurbani in giro per l'Europa e per il mondo. 

La prima cosa che mi è venuta in mente è stata che potevano servire come idee per gli amministratori capitolini, perchè ho la sensazione che da un po' di anni manchino, eppure in giro per l'Europa e per il mondo si fanno talmente tante cose che basterebbe copiarle.

Walking & Cycling

Un quartiere periferico di edilizia economica e popolare

Urban Revitalization Superkilen - Copenhagen

 

Gli spazi comuni dell'Università di Tor Vergata

Gammel Hellerup Gymnasium - Copenhagen

 

Le sponde del Tevere

Les berges du Rhône -Lyon

 

La Tangenziale est (nel tratto che chiamiamo sopraelevata)

 HIGH LINE, SECTION ONE - New York

  Come dice un famoso slogan pubblicitario: Immagina, puoi

 

 

 

 

 



Piano con le periferie

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Il lavoro sulle periferie è la missione che il senatore a vita e architetto Renzo Piano ha deciso di svolgere per onorare il suo impegno pubblico e per farlo ha selezionato, su seicento candidati, sei giovani architetti tra 1 29 e i 38 anni con Master o esperienze professionali all'estero, finanziati dal suo stipendio di senatore, a formare il gruppo di lavoro G124, dal numero della stanza assegnatagli a Palazzo Giustiniani, che adesso ha le pareti di conpensato, proprio come in un laboratorio, perfette per attaccare disegni e appunti di lavoro.
Michele Bondanelli, Roberto Giuliano Corbia, Francesco Lorenzi, Roberta Pastore, Federica Ravazzi e Eloisa Susanna lavoreranno al progetto sotto la supervisione dell’ingegnereMaurizio Milan, fondatore ma oggi fuori dalla Favero & Milan e degli architetti Mario Cucinella e Massimo Alvisi, entrambi già collaboratori dello studio di Piano.

Sull'onda di questa iniziativa importante, che certamente non è un'idea nuova, visto che di riqualificazione delle periferie si parla ormai da decenni e ultimamente sembra che se ne siano convinti addirittura i costruttori, come ho raccontato in un piano per le città, Renzo Piano è andato in TV a Otto e Mezzo a raccontare la sua idea, intervistato e spalleggiato dalla Gruber e da Severgnini, forse anche nella speranza di far capire un po' a tutti quanto è importante occuparsi oggi più che mai della qualità dei nostri ambienti di vita.


In Italia ci sono 5 milioni di appartamenti vuoti, ma recentemente, dai dati ISPRA di cui ho già scritto in 1996-2007 - secondo boom edilizio, abbiamo consumato 8mq di territorio al secondo.
Ma forse questi dati non sarebbero così rilevanti se non si aggiungesse il fatto che nelle città italiane la qualità della vita è peggiorata molto negli ultimi anni.

Proprio partendo da queste considerazione Piano ha detto chiaramente che è giunto il momento di creare delle barriere verdi per fermare la crescita delle città e ha declinato i nuovi verbi per lo sviluppo dell'edilizia in periferia che sono: rammendare i tessuti esistenti, crescere per implosione, lavorare sulla bellezza, costruire sulla città. 

Si tratta di considerazioni molto intelligenti e ampiamente condivisibili che riassumono in maniera estremamente sintetica qual'è il grande e difficile lavoro che ci aspetta, almeno dal punto di vista architettonico, se vogliamo veramente riqualificare le nostre città. 

Ho scritto città apposta, perchè mi sembra che oggi la definizione di periferia, dal latino tardo peripherīa«circonferenza», greco περιϕέρεια, der. di περιϕέρω«portare intorno, girare»(voce Treccani), sia diventata un po' stretta e superata. Sia perchè si riferisce ormai ad un territorio spesso molto vasto e indefinibile, sia perchè, contraddicendo in un certo senso il suo significato originario, si identifica ormai con la città; perchè è nella periferia che gran parte delle persone oggi vive, molto di più che nel centro storico a cui il nome della città viene sempre associato. Come dire che la periferia è divenuta città forzatamente, ma ancore non ne ha assorbito le caratteristiche fondamentali di vivibilità che associamo appunto alla città.

Piano insiste anche sul tema della bellezza dei nostri territori, di cui a dire il vero oggi si parla molto, anche non sono sicuro che sappiamo bene di cosa parliamo, sicuramente lo dimentichiamo troppo presto. E' fondamentale riconoscere le qualità dei nostri territori per conoscerli veramente e per gettare le basi della loro riqualificazione.
Allora oggi bisogna trasformare più che demolire, partendo proprio dall'individuazione della bellezza dei luoghi, perchè la creatività dell'architetto non coincide con la libertà assoluta e con la mancanza di limiti, che infatti sono il risultato naturale dell'osservazione e della comprensione dei luoghi e non averli individuati vuol dire non aver capito bene il senso delle cose.

Insomma lo dice anche lui, piano con le periferie!


ritorno alla città

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... È corsa infatti in questi ultimi anni questa bizzarra teoria, non solo a Firenze ma anche a Milano o a Roma, che debbano essere gli imprenditori edilizi a progettare i nuovi quartieridella città, un compito invece da mille anni tra quelli fondamentali dell’amministrazione pubblica, orgogliosa manifestazione della civitas... 
Sono stato per dieci anni il direttore della rivista ‘Urbanistica’, sono stato per cinque o sei anni direttore del dipartimento di Urbanistica della Facoltà di Architettura di Venezia, ho tenuto ovviamente in tutto questo periodo un corso di“urbanistica”. Ma, quando avevo quasi cinquant’anni, mi sono chiesto se tutte le cose che insegnavo, sostanzialmente tutte le regole disciplinari che la maggior parte di voi ha studiato in tutte le facoltà italiane, fossero vere...
Il nocciolo della riflessione che sono stato costretto a fare venticinque anni fa è che voi non potete progettare una città soddisfacendo solo delle sue funzioni immediate, perché le funzioni dureranno meno dei suoi muri: la consistenza materiale di una città durerà molto più a lungo di qualsiasi funzione per la quale l’abbiate progettata, sicché, dopo un po’, decadrà e diventerà un campo di rovine, di manufatti cioè privi del loro scopo originario...

Marco Romano: COME PROGETTARE UNA CITTÀ: TEORIA E PRATICA 
(intervento al convegno RITORNO ALLA CITTÀ - Rigenerazione urbana nelle città storiche ed europee: ipotesi a confronto,  Firenze Palazzo vecchio – settembre 2009)

Veduta zenitale del centro di Firenze (google maps)

Era già da un po' che sentivo il bisogno di ritornare sul post Centralità Bufalotta scritto alcuni mesi fa, soprattutto per aggiungere altre considerazioni che, sbagliando, avevo ritenuto scontate e sottintese e dopo aver letto le parole di Marco Romano mi riesce molto più facile farlo. 
Il mio intento era quello di puntare i riflettori su un quartiere contemporaneo, realizzato attraverso un progetto urbanistico unitario e coerentemente con le scelte di PRG, per capire che città stiamo sviluppando oggi, cercando di smarcarsi dai soliti luoghi comuni tipici dell'urbanistica italiana: speculazione edilizia e abusivismo

Avevo poi evidenziato come alcuni interventi architettonici mi sembrassero interessanti e di qualità certamente superiore alla media, ma non lo avevo fatto certo con l'intenzione di promuovere ed elogiare il quartiere della Bufalotta/Porta di Roma e della sua impostazione urbanistica, ma al contrario di dimostrare come, se un impianto urbanistico non è in grado di prefigurare una qualche idea di città, sia da considerare scorretto e da rivedere. 

Veduta zenitale della Bufalotta (google maps)

Anche nel regno del "demonio", tra una selva di palazzine indigeste, spesso degni prodotti delle nostre facoltà e della confusioneculturale che domina la scena architettonica romana (e non solo) contemporanea ancor più che della speculazione edilizia, e con un disegno urbano abbastanza incomprensibile e discutibile, si possono trovare spunti interessanti e architetture forse in linea con le ricerche contemporanee europee.
Le considerazioni scaturite naturalmente sono state un paio:
- la prima che non è vero che la città è brutta perché è abusiva o almeno questo non è l’unico motivo, e il mio non è un elogio della città spontanea, ma una critica a chi da anni ci vuole far credere questo per giustificare una politica e una pratica urbanistica ed edilizia fallimentari;
- la seconda è che alcuni architetti bravi non fanno un bel quartiere, se non esiste un disegno complessivo ben studiato e capace di creare un sistema urbano degno di questo nome.

 

30 mesi di blog

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Ho pubblicato il mio primo articolo di questo blogDov'è l'architettura italiana? il 26 settembre 2011 e ciò vuol dire che sono già trenta mesi che scrivo su questo blog. Non sembra ieri.


Sul blog potete leggere già 119 articoli, che con questo che state leggendo sono già diventati 120; alcuni hanno il testo in inglese sotto, in coda a quello italiano, altri sono semplicemente la versione inglese del post pubblicato originariamente in italiano, ma non sono molti. 
Forse se il blog fosse in inglese, come qualcuno mi ha detto, potrebbe avere più lettori e sarebbe più "cool", ma io sono italiano e pur sentendomi europeo e internazionale, credo che alcune cose che penso e che scrivo abbiano un particolare significato proprio perchè sono scritte in italiano e a volte tradurle in inglese mi sembra quasi privo di senso.
L'esistenza di google traduttore poi ci ha impigriti, rendendo meno indispensabile la pubblicazione in inglese, anche se sappiamo bene tutti che quello che esce dal programma non è la stessa cosa che scrivere veramente l'articolo in inglese.

Nel frattempo tra le bozze qui sul blog ci si sono già più di 30 articoli da completare e pubblicare, tra i preferiti ho accumulato materiale per scriverne altri 15 o 20 e nella mente mi girano sempre varie idee su quello che vedo e leggo soprattutto sull'architettura e sulla città, per non parlare della montagna di fotografie che ho in archivio, soprattutto ma non solo di Roma.
Recentemente mi era venuta l'idea di aprire un altro blog proprio per pubblicare articoli meno scritti, con più foto, quindi più immediati e forse un giorno lo farò, ma per il momento va bene così, con altre varianti all'interno di questo che mi piace chiamare il mio taccuino di appunti.
Proprio perchè si tratta di appunti è normale che ogni tanto vadano riletti, fatelo anche voi mi raccomando, e credo che sia un ottimo momento per fare una rassegna del blog, che ha raggiunto ormai un buon livello di maturità.  

Si parla molto di architettura italiana naturalmente:   
alla ricerca di una panoramica delle opere più interessanti in qualche risposta 
puntando inaspettatamente a sud con sicilia contemporanea e grasso cannizzo e il riba 
per conoscere meglio gli studi più interessanti in Piuarch studio dell'anno 2013 

Trovate una piccola rassegna di alcuni libri interessanti sull'architettura in ordine sparso:  
Senza architettura di Ciorra in colleghi illustri 
l'Anticittàdi Boeri e Contro l'architettura di Franco La Cecla in le colpe degli architetti 
il bellissimo minimumdi Pawson un misto di parole ed immagini 
gli Scritti di architettura 1987-2012 di Barucci in preferisco il Bauhaus alla Garbatella
la Storia dell'architettura italiana 1985-2015 di Biraghi e Micheli in architettura italiana.

C'è un'attenzione particolare verso la città e il paesaggio, il suo sviluppo e la sua riqualificazione attraverso l'architettura e il disegno urbano: 
si riflette sull'urbanistica moderna in le corbusier e i pilotis,  
sullo stato di conservazione dell'architettura moderna inArchitettura del Novecento,  
 
Non mancano informazioni su alcune interessanti iniziative istituzionali illustrate in: 

Roma è la mia città e la racconto molto spesso:
l'Università di Tor Vergata inBuone notizie, anzi Good News,
la nuova molto discussa piazza san silvestro e laBibliotheca Hertziana
il quartiere di Porta di Roma in centralità bufalotta, lametro B1
città giardino aniene anche come l'hanno raccontata inil lato positivo
un po' di storia recente di un'area tra le più critiche in meier e l'ara pacis
il Foro Italico in american academy in rome. 

I temi della professione e del suo difficile rapporto con la burocrazia e la sempre più copiosa e confusa legislazione edilizia e urbanistica sono stati affrontati in 

Ho dato ampio spazio alla nuova Domus e in particolare agli editoriali del direttore Di Battista, protagonista di un  tentativo lodevole di ritorno ad una professione più responsabile in 
 
 
 

 
 
 

 
 
 


 


san saba

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Il quartiere di San Saba, realizzato a ridosso delle Mura Aureliane tra il 1906 e il 1923 in tre diverse fasi, è considerato il primo vero e proprio quartiere costruito a Roma dall’Istituto Case Popolari (l'ICP poi divenuto IACP e oggi ATER) e senza dubbio uno dei più riusciti. 

Veduta zenitale del quartiere di San Saba (google maps)




Il fine morale e sociale che si deve raggiungere nella casa popolare è quello di alloggiare le classi
meno abbienti nel minor spazio necessario e sufficiente per garantire loro le migliori condizioni   d’ambiente […], si legge nella relazione dei progettisti dell'intervento, Quadrio Pirani e Giovanni Bellucci. Queste semplici parole, pur condite da una certa dose di retorica probabilmente tipica del tempo, dimostrano una giusta sensibilità per il tema  dell'edilizia popolare, che è facile riscontrare nel disegno urbano e nell'architettura del quartiere realizzato, rendendolo ancora oggi uno dei migliori esempi dell'urbanistica romana del XX secolo. 
Veduta aerea del quartiere di San Saba (google maps)
Molti studiosi illustri e più documentati hanno già raccontato la storia di San Saba evidenziandone i molti pregi legati soprattutto all'attenzione per il disegno degli spazi pubblici e di quelli aperti privati, oltre che alla scelta dei materiali che ne garantisse la durata nel tempo.
Potrei soffermarmi sulla differenza abissale che esiste tra questo quartiere, figlio come molti altri realizzati nella prima metà del Novecento a Roma delle felici scelte urbanistiche del piano del 1909 e di una generazione di ottimi progettisti, e quelli successivi al piano del 1962, ma si tratta di due ere diverse dal punto di vista sociale, culturale, urbanistico e architettonico.
Sicuramente la diversità nasce principalmente dal passaggio dalla pianificazione della città attraverso il disegno delle strade e delle piazze, a quella di matrice funzionalista avvenuta soprattutto per aree di intervento con la zonizzazione.

Il mio racconto di San Saba l'ho affidato ad una serie di foto che ho scattato passeggiando una domenica qualsiasi per il quartiere. 
Manca solo, alle foto, quell'atmosfera rilassata tipica di alcuni luoghi della nostra città.


Gli spazi pubblici
I cortili interni
L'architettura degli edifici

I dettagli e i materiali






Shigeru Ban - 2014 Pritzker Architecture Prize Laureate

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Shigeru Ban, a Tokyo-born, 56-year-old architect with offices in Tokyo, Paris and New York, is rare in the field of architecture. He designs elegant, innovative work for private clients, and uses the same inventive and resourceful design approach for his extensive humanitarian efforts. For twenty years Ban has traveled to sites of natural and man-made disasters around the world, to work with local citizens, volunteers and students, to design and construct simple, dignified, low-cost, recyclable shelters and community buildings for the disaster victims.
(Announcement from PritzerPrize official site)


Due sono le considerazioni principali che nascono dal premio al giapponese Shigeru Ban.
La prima è che il centro del mondo dell'architettura si è recentemente spostato molto ad est, considerato che tra i 5 vincitori dal 2010 ad oggi solo uno è europeo, Souto De Moura premiato nel 2011, mentre tutti gli altri sono cinesi o soprattutto giapponesi.
La seconda è che l'architetto premiato, pur essendo un personaggio già noto da anni nel mondo dell'architettura, si distingue per essere quasi un anti-architetto, nel senso che ha costruito pochi edifici importanti, le sue realizzazioni sono molto legate al suo impegno nei paesi in via di sviluppo e all'uso di materiali poveri anti-convenzionali, soprattutto il cartone
Lo si può definire senza dubbio un vero sperimentatore.
Basta vedere le sue opere pubblicate sul sito dal Pritzker Prize per averne la conferma:


Curtain Wall House, Tokyo, Japan, 1995
Paper Church, Kobe, Japan, 1995 
Naked House, Saitama, Japan, 2000
Paper Log House, Bhuj, India, 2001
 

Haesley Nine Bridges Golf Club House, Korea, 2010 
Paper Emergency Shelter for Haiti, Port-au-Prince, Haiti, 2010
Cardboard Cathedral, Christchurch, New Zealand, 2013
 Tamedia Building, Zurich, Switzerland, 2013
 
...In 1985, Ban started his own practice in Tokyo without any work experience. Between 1985 and 1986, he organized and designed the installations of an Emilio Ambasz exhibition, Alvar Aalto exhibition, and a Judith Turner exhibition, as the curator of the Axis Gallery in Tokyo.
...In 1995, Ban’s paper-tube structure development received the permanent architecture certificate from the Minister of Construction in Japan and he completed the “Paper House.” In 2000, in collaboration with German architect/structural engineer Frei Otto, Ban constructed an enormous paper-tube grid shell structure for the Hanover Expo’s Japan Pavilion in Germany. This structure drew attention from all over the world for its recyclable architecture.
...Ban is currently working on creating architecture, he volunteers for disaster relief, lectures widely, and teaches. He continues to develop material and structure systems.  
(Biographyfrom PritzerPrize official site)


Quanto pesa il suo edificio, Mr Foster?

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E' una domanda che Richard Buckminster Fuller fece a Norman Foster quando i due architetti collaboravano negli ultimi 12 anni della vita di Fuller, come ha raccontato recentemente Foster.

Il film-documentario anglo-spagnolo del 2010, che il canale tv Laeffe sta riproponendo in questi giorni in occasione del Salone del Mobile di Milano, evidentemente un breve periodo in cui le persone si "ricordano" dell'esistenza del design, dell'architettura e degli architetti, racconta la vita e la brillante carriera dell'architetto inglese.

Dalla bacheca facebook di Laeffetv
Norman Foster ha sempre avuto un unico obiettivo, e questo obiettivo lo ha fatto diventare uno dei più importanti architetti del mondo: migliorare la qualità della vita attraverso l'architettura e creare qualcosa che nessuno avesse mai visto, ridisegnando l’aspetto delle grandi metropoli del mondo. (dal sito laeffe.tv) 
Infatti Norman Foster nella sua già lunga carriera è riuscito a conciliare in maniera eccezionale nei suoi edifici l'innovazione tecnologica con l'attenzione per le implicazioni socio-economiche, sin dalle prime opere in cui ha creato ambienti di lavoro aperti e non gerarchici.


Ho visto il film per la seconda volta e per la seconda volta sono rimasto affascinato, non tanto dagli edifici che già conoscevo e che ho sicuramente apprezzato molto in passato e forse un po' meno oggi, ma dalla forza sprigionata dal personaggio.
Come conferma Rogers, primo socio con il Team 4 nel 1963 e amico di vecchia data dai tempi di Yale, Norman non era come gli alti studenti di architettura di Yale di estrazione borghese, ma veniva da una famiglia povera e ha dovuto lottare già per poter studiare architettura.
Foster è riuscito nell'impresa e ha riempito tutto il mondo con le sue opere di architettura.

HSBC - Reichstag -Viadotto di Millau - Aeroporto di Pechino(dal sito Foster+Partners)

Renault - British Museum -Millenium Bridge - City Hall - Swiss Re(dal sito Foster+Partners)

Le lezioni che si possono trarre sono molteplici, ma credo che la più importante sia da cercare nella sua creatura più bella, la Foster+Partners, di cui dice con orgoglio che resterà anche dopo la sua morte e funzionerà bene anche senza di lui. Fondata come Foster Associates nel 1967 insieme alla prima moglie Wendy e composta inizialmente, come oggi racconta sorridente, da lui e dalla moglie senza associati e senza clienti, oggi impiega un migliaio di persone, secondo Architonic, tra Londra e tutti gli uffici sparsi nel mondo, soprattutto in Cina.

Questo è il motivo per cui lo proietterei, non solo in tutte le facoltà di architettura, ma anche e soprattutto in molti studi di architetti italiani.

La forza del personaggio è rappresentata benissimo all'inizio e alla fine del film dalla sua partecipazione alla gara di sci di fondo, la maratona che si volge a marzo in Engadina, divenuta per lui un appuntamento fisso anche dopo la malattia che lo ha colpito recentemente.
Ha raccontato in un'intervista al mensile Style del Corriere della Sera di essersi innamorato della splendida valle svizzera di Saint Moritz, dove infatti ha comprato una casa e ha anche realizzato un piccolo edificio per appartamenti con vista mozzafiato sulle montagne, il Chesa Futura.

Immagini del Chesa Futura (dal sito Foster+Partners)
Sono stato in Engadina qualche gennaio fa con un viaggio bellissimo sul treno rosso che viaggia tra Tirano e Saint Moritz in mezzo al bianco infinito tra le montagne del Bernina e posso capire molto bene la passione di Foster per questi luoghi.
Bernina Express e Saint Moritz (foto mie)


la casa delle armi al Foro italico

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Ho approfittato della giornata FAI (grazie!!) di primavera, come moltissimi altri in attesa dell'ultimo ingresso, per visitare la Casa delle Armi di Luigi Moretti al Foro Italico.
Non è la prima volta che ne parlo, lo avevo già fatto inArchitettura del Novecento, ma non può essere altrimenti vista l'importanza e la bellezza di questo edificio simbolo dell'architettura razionalista italiana, che per troppo tempo ormai è rimasto inaccessibile, dopo essere stato saccheggiato, stravolto e abbandonato


Immagini dall'archivio di Luigi Moretti dal 2000 parte dell'Archivio di Stato
E' sempre stato per me un punto di riferimento, già dai tempi dell'università tanto che in un esame di progettazione volevo a tutti i costi copiarlo, soprattutto riprendere la facciata disegnata dall'orizzontalità degli elementi in pietra e il professore (il migliore che ho incontrato!), che aveva almeno trent'anni più di me, mi guardava sorridendo come per dirmi che ero proprio fuori moda a copiare Moretti quando in giro c'erano Eisenmann, Gehry, Hadid, Holl, Nouvel ecc... Chissà cosa direbbe oggi che quasi ogni anno esce un libro su Moretti (e forse si sta esagerando) e c'è la folla in attesa per vedere la sua Casa delle Armi.
Io del resto sono stato capace, in piena epopea post-moderna in cui se si progettava un museo si doveva copiare Stirling, di rimanere in dubbio fino all'ultimo tra "copiare"Mies di Berlino o Le Corbusier di Tokio e alla fine ho scelto il primo per manifesta superiorità (!).

La Casa delle Armi oggi è stata parzialmente riportata all'origine, nel senso che è stata liberata alla vista rimuovendo le attrezzature di sicurezza per l'accesso all'aula aggiunte sul lato nord. Il restauro non è stato ancora completato e non si può non notare l'evidente stravolgimento creato dalla chiusura al piano terra dell'elegantissimo elemento di collegamento tra i due volumi principali.
L'edificio è talmente perfetto nelle sue linee da sembrare a prima vista e da lontano un plastico o, per essere più contemporanei, una visualizzazione al computer, ma quando ci si avvicina si coglie molto bene la sua materialità, è rivestito completamente in pietra, e la dimensione della facciata orizzontale, che da lontano sembra composta da fasce sottili di pietra, assume le giuste proporzioni.
Un'altra cosa che rende l'edificio ancora più bello e più astrattoè la cornice "naturale" in cui è collocato con lo sfondo delle verdissime pendici di Monte Mario, talmente verdi che stando all'interno della grande sala della scherma e guardando attraverso le aperture a nord con la giusta prospettiva (che eviti il nuovo "catino" del tennis), sembra quasi di trovarsi in mezzo a un parco.

[…] Moretti compare sulla scena del Foro come progettista nel 1933 con alcuni progetti minori: ma é assai credibile che abbia in pectore - come ancora Plinio Marconi dice - anche questo grande progetto fin da quella data. Lo stesso Enrico Del Debbio, fino ad allora responsabile dei lavori del Foro, é sorpreso: ed é costretto a modificare la sua 'foresteria' dallo stravolgimento imposto alla scena dall'edificio di Moretti; più che di un solo edificio, la Casa delle Armi é infatti una sorta di trama costruita, e costituisce un caposaldostrategico. La grande Sala d'Armi e la più complessa costruzione polifunzionaleche le si affianca con la testa ed una sorta di braccio alzato sospeso, sono edifici totalmente distinti, collegati solo stilisticamente; ma l'eccezionale enfasi attribuita da Moretti alla rete costruita di piattaforme e percorsi a più livelli suggerisce di cogliere le due terrazze di collegamento non nella loro esile fisicità, intenzionalmente accentuata da sagomature aerodinamiche. Le terrazze materializzano le quote d'uso principali, identiche, delle due parti funzionali: le alte piattaforme aeree, da cui si guarda il mondo. (Carlo Severati)

A conferma di quanto sia stato forte l'impatto dell'edificio di Moretti, basta vedere le immagini di com'era originariamente l'edificio delle Foresterie sud di Del Debbio, come ben documentato nella pubblicazione Enrico Del Debbio Architetto - La misura della modernità, da cui ho estratto le immagini, i testi in corsivo qui di seguito e le informazioni sull'edificio. 
Nel 1932 viene costruito solo l’edificio verso il fiume, con il linguaggio già utilizzato nell’Accademia di educazione fisica: un lungo corpo architettonico, basso e articolato, rivestito in intonaco rosso bruno con un sottile basamento e elementi architettonici in marmo bianco. 

Cinque anni dopo viene costruita la vicina Casa delle armi di Luigi Moretti, una composizione di due volumi puri ad L rivestiti completamente in marmo bianco.
Per restituire omogeneità all’insieme lo stesso Del Debbio progetta radicali modifiche al suo edificio, proponendone l’adeguamento sia nei volumi (con la sopraelevazione di un piano, la demolizione di una parte della testata, la semplificazione delle facciate) e nell’immagine esterna, con il completo rivestimento in marmo bianco.
A dire la verità guardando le foto originali a me sembra che la Foresteria fosse molto più bella e proporzionata nella versione originale più bassa, intonacata di color rosso bruno e con elementi in marmo bianco come l'edificio dell'Accademia di educazione fisica. 
Il rivestimento uniforme in marmo infatti l'ha un po'banalizzata, soprattutto nel confronto con il più elegante e proporzionato "vicino" e l'elevazione di un piano le ha negato quello slancio orizzontale che dava forza alla sua lunghezza. 
L'edificio resta comunque un altro bellissimo esempio di architettura razionalista, anche nella sua versione rivista e, come la vicina casa delle armi, privo di una adeguata funzione.




crediti formativi

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Come (spero) sapranno già tutti i miei colleghi architetti, dal 1 gennaio 2014 è partito il triennio della formazione continua, che obbliga gli architetti a collezionare 60 crediti in 3 anni, con un minimo di 10 all'anno. 

Si è scatenata quindi, almeno qui a Roma dove siamo 18000 (!!!), una corsa selvaggia per seguire quei (pochi) eventi gratuiti che garantiscono crediti formativi.
Io cerco comunque di vedere il lato positivo e, invece di indignarmi per questo obbligo, lo ritengo una buona possibiltà per tenersi più aggiornati, se non addirittura per avere più contatti con i colleghi.
Franco Purini, del comitato scientifico, ha giustamente sottolineato che l'esercizio della professione è il primo fondamento della formazione, ma il problema è capire bene cosa si intenda per professione, vista la deriva molto burocratica e poco progettuale che ha assunto oggi la figura dell'architetto in Italia.


Ci sono comunque due aspetti, legati in qualche modo ai crediti formativi, che mi sembrano particolarmente interessanti e che provocano inevitabilmente delle riflessioni sul futuro.
Il primo riguarda la rivoluzione della rete che ha già permesso a molti per esempio di seguire in diretta streaming dalla propria postazione alcuni eventi della Casa dell'Architettura. Sarà quindi breve il passo verso la possibilità di fare formazione anche con tempi più adattabili alle situazioni, avendo cioè a disposizione un filmato da vedere quando e come si vuole.
Il secondo è legato invece agli eventuali eventi formativi promossi dalle aziende del settore, che hanno provocato in alcuni reazioni di fastidio e di diffifdenza. Io ritengo che, se si mette in primo piano l'aspetto scientifico rispetto alla mera promozione del prodotto, possano essere piuttosto utili per conoscere meglio le tecnologie più importanti e innovative e i materiali disponibili sul mercato, facilitandone la conoscenza a tutti i professionisti, soprattutto vista l'importanza che hanno oggi le nuove tecnologie per l'architetto.  
Se penso poi ai sistemi BIM, che consentono di integrare in un unico modello architettura, strutture ed impianti e a quanto poco sono conosciuti e utilizzati qui da noi, mi rendo conto ancora di più di quanto sia fondamentale la formazione per la nostra professione.

Ecco il quesito riguardante i blog e i crediti formativi che ho posto allo sportello di consulenza online dell'Ordine di Roma, che giustamente per non farmi pubblicità non lo ha pubblicato tra le risposte alle domande più frequenti.

Sono ideatore e redattore di un blog che si chiama dov'è l'architettura italiana.
Gli articoli scritti sono strettamente legati all'architettura e alla professione e sono quindi una vera e propria attività di ricerca alternativa. Possono dare diritto a crediti formativi?
Grazie
Saluti

La pubblicazione di monografie, articoli, saggi, danno diritto all'acquisizione di 1 cfp per ogni articolo, monografia o pubblicazione, con il limite massimo di 5 cfp annuali.
Entro il mese di febbraio di ogni anno (a partire da febbraio 2015) ciascun iscritto compila, in formacartacea o telematica online, un formulario rilasciato dall’Ordine territoriale e predisposto dalCNAPPC (tramite piattaforma MOODLE), esplicativo del percorso formativo seguito nell’anno precedente, indicando gli eventi formativi seguiti e le attività formative svolte. Al termine di ogni
triennio l’iscritto autocertifica l’attività di formazione effettivamente svolta. Il Consiglio dell’Ordinepuò eseguire controlli di conformità entro il termine di cinque anni dalla data di svolgimento delleattività di formazione.

lo sviluppo della città e la bicicletta

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Oggi si parla molto di città compatta, considerandolo forse l'unico modello valido sostenibile e noi italiani ed europei sappiamo bene di cosa si tratta perchè ci basta camminare nei nostri centri storici e per alcune aree urbane già consolidate per vederne gli effetti.
Veduta aerea di Edinburgo da ecocompactcity.org
Le grandi città invece, soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo scorso, sono cresciute in maniera piuttosto diversa e questo ha contribuito in maniera decisiva a creare degli agglomerati urbani molto estesi in cui si è persa quasi completamente l'idea e il senso di città, almeno per come noi l'avevamo intesa fino a quel tempo.

Come abbiamo studiato un po' tutti noi architetti sui libri di urbanistica, ci sono stati due principali modelli  di sviluppo dell'urbanistica moderna: quello di stampo anglosassone delle città giardino e quello europeo e cartesiano derivato dalle teorie funzionaliste dei CIAM. 
A parte le teorie e i libri però, è piuttosto facile, oltre che necessario, vedere i risultati nella realtà, analizzando il tipo di città che ne è derivata, gli spazi che ha generato e soprattutto il rapporto che si è creato con le persone che li vivono.

Nel primo tipo, adottato in tutto il mondo anglosassone, si è aumentata molto la dimensione urbanizzata della città, generando il cosiddetto sprawl, mantenendo però un ottimo rapporto tra costruito e verde. La scala degli edifici è rimasta in genere a misura d'uomo e lo stretto rapporto tra pubblico e privato ha permesso di mantenere un alto decoro degli spazi pubblici già solo grazie al modello di sviluppo scelto, poichè questi vengono percepiti come una sorta di estensione dello spazio privato. L'aspetto negativo invece è dato dal notevole consumo di territorio, dalla difficoltà e dal costo sostenuto per garantire i servizi pubblici a tutti, soprattutto nel caso dei trasporti collettivi che divengono spesso impossibili, costringendo la popolazione all'utilizzo indiscriminato dell'auto, unico mezzo che consente loro di raggiungere le zone più centrali.
Nel secondo tipo, quello derivato dalle teorie funzionaliste, si sono ampliati in generale gli spazi della città, soprattutto quelli aperti e più difficili da gestire, avendo quindi gli stessi aspetti negativi del modello americano, cioè alto consumo di suolo e necessità di usare l'auto. A questi però va' aggiunto quello della perdita della scala umana, dovuta sia alla grande dimensione degli edifici che degli spazi pubblici, fattore fondamentale per spiegare il disagio di vivere in certi quartieri, in cui è spesso molto difficile acquisire quel senso di appartenenza che consente di stare meglio e di rispettare di più gli spazi comuni e pubblici.

In entrambi i modelli di sviluppo ha prevalso l'utilizzo dell'auto privata a scapito dei sistemi di spostamento da sempre più adatti all'uomo, come camminare o andare in bicicletta.

Infatti un altro fenomeno che sta contribuendo negli ultimi anni a preferire la città compatta a quella diffusa è l'utilizzo sempre maggiore della bicicletta, che in alcuni casi, come in quello della città di Copenhagen, è divenuto addirittura il simbolo della politica pubblica dei trasporti in chiave di risparmio energetico e di qualità dell'aria e quindi di salute dei cittadini. 

Cycling in Copenhagen da Wikipedia

Il successo del modello danese sta interessando molto gli Stati Uniti, tanto che molte persone che vivono nelle maggiori aree urbane statunitensi hanno iniziato ad utilizzare la bicicletta. Sembra proprio che il suo utilizzo per gli spostamenti abbia una lunga serie di benefici anche economici sulla città, come ha ricordato mesi fa il Guardian in Four reasons US business leaders want to import Danish-style cycling.

Cyclists on Market Street San Francisco Photograph: People For Bikes
A parità di spazio per la sosta aumentano le persone e quindi le vendite al dettaglio, visto che le biciclette occupano meno spazio delle auto.


Il mercato immobiliare migliora perchè le piste ciclabili creano un ambiente più sicuro e più piacevole anche per i pedoni e una qualità di vita più elevata.


La presenza di piste ciclabili poi aiuta le aziende ad avere i lavoratori più dotati di talento, quelli alla ricerca di città migliori, oltre a renderli più sani e più produttivi.

la cité du lignon

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Il vero "serpentone", così chiamano il romano e rettilineo edificio del Corviale, si snoda a ridosso del fiume Rodano tra i prati verdissimi della periferia di Ginevra, nella svizzera francese, in una delle città europee più cosmopolite
Il complesso urbanistico, costituito da 2780 appartamenti, è stato realizzato tra il 1963 e il 1971 per ospitare 10.000 abitanti, ma sembra che oggi ci vivano "solo" 6800 persone.
Dopo quarant'anni di vita la città di Ginevra lo ha classificato come monumento e continua ad essere fonte di ispirazione(?) per numerosi architetti del mondo.
Ha anche il primato di edificio in linea residenziale più lungo d’Europa (qualcuno dice addirittura del mondo!), con i suoi 1065m di lunghezza.
E noi che pensavamo che il chilometro del Corviale fosse un primato…

Foto da Google

La vera notizia però riguarda il progetto di ricerca per il restauro del complesso, svolto tra il 2008 e il 2011 dal Laboratorio di Tecniche per la Salvaguardia dell’architettura Moderna del Politecnico di Losanna su mandato dell’Ufficio del patrimonio e dei siti di Ginevra e cofinanziato dall’Ufficico Cantonale per l’Energia e dal Comitato Centrale del Lignon, che ha già ricevuto dei riconoscimenti come il premio Europa Nostra del 2013 e quello della rassegna “Sguardi” della Società svizzera degli ingegneri e degli architetti.

Il Premio Europa Nostra 2013 alla ricerca sulla città-satellite del Lignon ha voluto riconoscere il carattere innovativo e allo stesso tempo conservativodel progetto di riqualificazione, il cui approccio è stato definito esemplare per i risultati ottenuti nella salvaguardia del complesso abitativo. Si è potuti passare quindi alla fase operativa, quella degli interventi sull’involucro edilizio, con il sostegno finanziario dell’OCEN, avendo elaborato una strategia di salvaguardia e miglioramento termico che prende in considerazione allo stesso tempo aspetti patrimoniali, vincoli economici e questioni energetiche.
Foto dall'album flickr di europanostra


La Giuria della SIA ha approfondito in maniera piuttosto dettagliata le ragioni del riconoscimento e l'oggetto della ricerca, anche attraverso un video girato appositamente.

Le autorità responsabili della tutela del patrimonio storico cercano allora il dialogo con i proprietarie incaricano un team interdisciplinare del Politecnico federale di Losanna di occuparsi della ristrutturazione delle finestre.Il gruppo di esperti propone un approccio più oculato con il coinvolgimento delle autorità cantonali del servizio energia. Dopo aver ponderato i valori ambientali e culturali risulta chiara una cosa: le qualità architettoniche e sociali del complesso residenziale devono essere preservate e nel contempo occorre ridurrenotevolmente il consumo energetico. Nel 2009 la Cité du Lignon è dunque tutelata da un piano regolatore.  
Studiata la situazione, il gruppo di esperti presenta nel 2011 tre diverse soluzioni di risanamento contemplante proposte diverse per tipo di intervento e portata, vale a dire: manutenzione ordinaria, recupero e rimessa a nuovo. Per quando concerne gli ambiti più rappresentativi dell’edificio,ovvero facciata, ballatoi, atri d’entrata e singoli appartamenti, sono creati prototipi dalle cui misurazioni risulta una possibile riduzione del consumo energetico pari al 70 per cento.

Per garantire la qualità degli interventi i proprietari ricevono capitolati d’onere verificati e approvati dalle autorità cantonali. Così che ognuno possa decidere individualmente per una delle tre soluzioni proposte e scegliere liberamente a quale architetto e imprenditore affidare il lavoro.


Il Cantone di Ginevra attua inoltre due diverse misure di incentivo: una procedura di approvazione semplificata e veloce, nonché sovvenzioni accordate in virtù degli attesi risparmi energetici.
 


the development of the city and the bicycle

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lo sviluppo della città e la bicicletta

Today there is much talk of the compact city, considering perhaps the only valid model for sustainability and Italians and Europeans know very well what it is because we just have to walk in our historic towns and urban areas already established to see the effects.

Aereal view of Edinburgh from ecocompactcity.org
The big citiesinstead, especially since the secondhalfof the last century, have grownquite differentlyand it hascontributed decisivelytocreatevery largeurban agglomerationsin which it waslostalmostcompletelythe ideaand the feeling ofthe city, at leastas weintendeditup to thattime.


As all of usarchitectshavestudied on the booksofplanning, there have been two mainmodelsof modern urbandevelopment: the Anglo-Saxongarden cityand the EuropeanandCartesiancity derived fromfunctionalist theoriesofCIAM.

Apart from thetheoriesand books, however it is rather easy, as well as necessary,see the results inreality, analyzing the type ofcitywhich derives from them, the spaces that generatedandespeciallythe relationship thathascreatedwiththe people wholive them.

In the first type, adopted throughout all theEnglish-speaking world, it hasincreaseda lotthe sizeof the urbanizedcity, generating the so-calledsprawl, maintaining at the same time an excellent relationshipbetweenbuilt andgreen. Buildings dimension remainedgenerallyon a human scaleandthe close relationship betweenthe publicand private has enabled tomaintain a highdecorof public spaces, thanksto the development modelchosen, as these are perceived asa sort of extensionof theprivate space. The downside has instead given by the significant use of the land, the difficulty and the cost of providing public services to all, especially the public transport that often become impossible, forcing the population to the indiscriminate use of the car, the only medium that enables them to reach the most centralareas. 

In the second type, derived from the functionalist theories, the spaces of the city have generally widened, especially the open ones and more difficult to manage, thus having the same negative aspects of the American model, the high consumption of land and the need to use the car. However we must add to these to the loss of human scale, due to both the large size of the buildings that of public spaces, a key factor to explain the discomfort of living in certain neighborhoods, where it is often very difficult to gain a sense of belonging that allows to feel better and to comply more common and public areas.

However in both models of development has prevailed the use of private car over the systems more adapted to humans, such as walking or cycling.

In fact,anotherphenomenonthat is helpingin recent yearsto prefer thecompact cityto the diffuse is theincreasing useof the bicycle, that in some cases, as in that of the city ofCopenhagen,hasevenbecomea symbol ofpublic transport policyin terms ofenergy savings andair qualityand thusthe health of citizens.
Cycling in Copenhagen from Wikipedia


The success of Danish model is affecting a lot the United States, so much that many people who live in the major urban areas in the United States have begun to use the bike. It just seems that its use for moving within the city has a long list of benefits including economic ones, as pointed out in the Guardian some months ago in the article “Four Reasons U.S. business leaders want to import Danish-style cycling”.

Cyclists in San Francisco Photograph: People For Bikes

Protected bike routes increase retail visibility and sales volume per parking space, since the bikes take up less parking space than cars.

Protected bike routes make real estate more desirable and help to build the sort of neighbourhoods that people enjoy walking around.


Protected bike routes help companies score talented workers, who reach their desk the way they prefer.
Protected bike routes make workers healthier and more productive, burning calories and strengthening hearts, hips and lungs.
 



 

AUDIS e la rigenerazione urbana

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L'AUDIS - Associazione Aree Urbane Dismesse - è nata nel Luglio 1995 proprio dall'esigenza di dare impulso operativo al dibattito per fare emergere i punti critici delle trasformazioni che richiedono da parte degli Amministratori pubblici e degli Operatori una comune strategia.

Immagine dal sito http://www.audis.it

Si è tenuto a Modena lo scorso 16 Maggio il convegno nazionale AUDIS intitolato: Rigenerare Italia. Ruoli, obiettivi, strumenti per ripartire dalle città”, dal quale è scaturito ilProgramma definitivo per la Rigenerazione Urbana.
Il DOCUMENTO DI PROPOSTE PER LA RIGENERAZIONE URBANA, dopo un'analisi generale dello stato delle città italiane oggi e della nuova fase di crisi, affronta il tema della rigenerazione urbana come fattore fondamentale di rilancio qualitativo della vita delle nostre città. Si tratta in realtà di una specie di grande contenitore con all'interno una lunga serie di interventi di diverso tipo, quali: il Social Housing, gli Ecoquartieri, l'agricoltura urbana, i parchi produttivi ecosostenibili, la riconversione qualitativa del patrimonio edilizio esistente, il restauro dei territori vasti, la mobilità pubblica, l’attuazione delle bonifiche, il welfare urbano diffuso...

AUDIS ritiene utile presentare un pacchetto di proposte finalizzate a rilanciare gli interventi di rigenerazione urbana, una piattaforma sulla quale confrontarsi e possibilmente raggiungere una vasta condivisione di tutti gli interlocutori interessati.
1. Verso la crescita zero - La recente proposta di legge governativa sulla riduzione del consumo di suolo conferma l’obiettivo di ridurre il consumo di suolo arrivando nel 2050 alla crescita zero.

2. Dai piani regolatori ai piani di rigenerazione - E’ pensabile che il sistema di pianificazione sia assolutamente neutrale, cioè vada bene per tutte le stagioni? Certamente no...
Si impone quindi una revisione generale della legislazione statale (riforma urbanistica) e regionale...
3. La rigenerazione come intervento di pubblico interesse - Occorre rimettere in circolazione le aree dismesse, eliminando o riducendo il peso della rendita fondiaria.
4. Procedure semplificate per l’approvazione dei progetti di rigenerazione delle aree e immobili dismessi - Gli interventi di rigenerazione di aree e immobili dismessi, anche non strategici, vanno
agevolati semplificando ed abbreviando le procedure di approvazione, tagliando le lunghe e complesse trattative tra pubblico e privato che si svolgono a livello comunale e garantendo agli operatori la certezza dei risultati.

the house of arms at Foro Italico

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I took advantage of the day FAI (thank you!) of springto visit the house of ArmsbyLuigi Moretti at the Foro Italico, like so many others waiting for the last entry.
It is not the first time that I talk about
it, I had already done in Architectureof the twentieth century, but it can not be otherwise, given the importance and beauty of this iconic building of Italian rationalist architecture, which has remained inaccessible for too long time after have been looted, upset and abandoned.

Imagesfrom Luigi Moretti's archivesince 2000 partof the State Archives

It 's alwaysbeen for mea point of reference, since the timesof the universityso much so that for one design examI wanted to"copy" itat all costs, especially resumingfacade designedby the horizontalityof the elements instoneand the professor(the bestI met!), who was at least thirty yearsolder than me,looked at mewith a smileas if to saythatI was reallyout of fashiontocopyMorettiwhenthere werearoundEisenmann, Gehry, Hadid and Holl, Nouvel  etc.... Who knows whathe’dsay todaythat almost everyyear we can buy a new book on Moretti(maybe it’s anexaggeration)and there is acrowd waitingto see hishouseof Arms.
Furthermore  I have been able, in the middle of post-modern epoch, when a museum must be designed necessarily in Stirling style, to remain in doubt until the last if "copying" Mies in Berlin or Le Corbusier in Tokyo and at the end I chose the first for obvious superiority(!)


The house of arms today has beenpartiallybrought backat the origin, as meaning that ithas been releasedto theview by removingthe safety equipments addedon the north side for theaccess to the room. The restorationhas not yet beencompletedandit is impossible notto notice theobviousdistortioncreatedby wallingat the ground floorof the very elegant connection elementbetween the twomain volumes.


The buildingis soperfectin hislines to seem at first sightand from far amodelor, to put itmore contemporary, a displayingon the computer,butwhen you approachit you can capturevery wellits materiality, isfullycladin stone,andthehorizontaldimensionof the facade, which from a distance lookscomposed ofthin bandsof stone,assumesthe right proportions.

Another thing thatmakes the buildingeven more beautifulandmore abstractis the"natural"framewhereit is placedagainst the backdropof theverdantslopes of Monte Mario, sothat stayingin thegreat hall of thefencingand looking throughopeningsto the northwith the right perspective(to avoid the new"bowl"of thecourt), it seems to be inthe middle of apark


[...] Moretti appears on the scene of the Foro Italico as a designer in 1933 with some smaller projects, but it is quite probable that had inpectore - even as Plinio Marconi says - this major project since that date.The same Enrico Del Debbio, until then responsible for the work of the Foro, is surprised and forced to change his 'guest quarters' by the dislocation imposed at the scene bythe building of Moretti; more than just one building, the house of arms is in fact a kind of plot built, and is like a strategiccornerstone. The great armory and the most complex multifunctional building that joins with the head and a kind of suspended arm raised, are totally separate buildings, connected only stylistically; but the great emphasis placed by Moretti network built platforms and pathways at multiple levels suggests to seize the two terraces of connection is not in their frail physicality, intentionally accentuated by aerodynamic shapes. The terraces materialize shares of Use main identical, the two functional parts: the high platforms, from which you view the world.(Carlo Severati)

In confirmation of how strong has been the impact of Moretti's building, you just need to see the pictures of the Guest Houses south of Del Debbio as it was originally, as well documented in the publication Enrico Del Debbio Architect - The measure of modernity, from which I extracted the images, the text in italics below and the information about the building.

In 1932 the building was built just to the river, with the language already used in the Academy of Physical Education: a long architectural body, bass and articulate, covered in plaster red-brown with a thin base and white marble architectural elements.



Five years later he built the nearby House of weapons of Luigi Moretti, a composition of two volumes of pure L-clad entirely in white marble.
To return to all the same homogeneity Debbio radical changes to its building design, proposing an adjustment in both volumes (with the raising of a plan, the demolition of part of the head, the simplification of facades) and external image with a complete coating of white marble.


 
Actuallylooking at theoriginal photosit seems to methatthe Lodgewasmuch more beautifuland proportionatein the originallower-washed redandbrownwithwhite marbleelementsas the buildingof the Academy ofPhysical Education.
Theuniform coatingmarbleithasa littletrivialized, especially in comparisonwiththemore elegant andproportionate "near"andthe elevation of aplanhas deniedthatthehorizontalmomentumthatgave strengthto its length.
The buildingis stillanother goodexample of rationalist architecture, even in its revised version, and as the nearbyhouseof arms,without aproperfunction.

 

 

accademia di Danimarca

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Sembra quasi una provocazione, soprattutto se scritta in un blog come questo, intitolato Dov'è l'architettura italiana, ma è la verità; uno degli edifici contemporanei più belli di Roma, e con contemporaneo si intende realizzato negli ultimi 50-70 anni, è di un architetto danese.
Non si tratta di un edificio qualsiasi, ma dell'Accademia di Danimarca, dono dalla Fondazione Carlsberg, costruita su progetto dell'architetto Kay Fisker tra il 1962 e il 1967 nella zona di Valle Giulia nei pressi del laghetto di Villa Borghese, della Galleria Nazionale di Arte Moderna e della storica Facoltà di Architettura
Immagini dal pieghevole dell'Accademia Danese


Nel sito dell'Accademia si possono trovare anche le foto dell'inaugurazione, avvenuta con cerimonia solenne il 24 ottobre del 1967, che io ho raccolto e riproposto qui sotto, per dovere di cronaca, ma soprattutto per rendersi conto di quanto sia cambiato il mondo in questi "pochi" anni, cosa piuttosto evidente sia dall'abbigliamento delle persone che dal modo di progettare e costruire gli edifici...

Immagini dell'inaugurazione dal sito dell'Accademia
Irene De Guttry nella sua guida di Roma ha inserito l’edificio solo nell’indice tra le opere di Luciano Rubino, citato quindi come co-progettista, mentre Piero Ostilio Rossi gli ha giustamente dedicato una scheda, in cui però non ha minimamente accennato alla partecipazione di Rubino al progetto. Anche l'interessante sito archidiap ha dedicato una pagina all'edificio, con disegni e foto.

Immagini da archidiap e dalla Guida di Roma di P.O.Rossi


Ho avuto modo di entrare all’Accademia in occasione di un concerto di un gruppo di giovani musicisti classici danesi, che si è tenuto nella piccola ed elegante sala-auditorium, situata sotto la corte principale al piano più basso dell’edificio e caratterizzata dal bianco delle pareti e del soffitto attrezzato e dal bel legno del pavimento. 
Vi si  accede direttamente dalla prima rampa della lunga scalinata esterna e una volta entrati ci si trova di fronte un piccolo cortile con una scultura contemporanea in travertino e sulla destra l’ingresso con il corridoiodi distribuzione che, attraversato l'edificio, conduce ad un patiodi formaallungata su cui affacciano tutte gli ambienti del livello inferiore

Vedute degli spazi comuni esterni
Anche l’interno è caratterizzato dalla ricchezza dei materiali, i mattoni per il rivestimento, il legno per le porte e gli infissi esterni, e dei dettagli architettonici, che dimostrano una particolare attenzione al progetto e una sensibilità non comune. 
L’edificio, pur nella sua solidità data dalla purezza geometrica dei volumi e dall’utilizzo piuttosto ampio di un materiale “pesante” come il mattone, ha un’articolazione che lo alleggerisce e lo rende ricco di prospettive diverse e frammentate. 

Vedute generali dell'edificio dal lato di Via Omero
E’ composto infatti da tre blocchi principali di diverse dimensioni ed altezze, posizionati in maniera non simmetrica intorno ad un cortile, molto sopraelevato rispetto alla quota stradale, al quale si accede attraverso una lunga scalinata a forma di “z”, composta da tre rampe. 
Risulta piuttosto evidente la lezione scandinava sia nell’importanza data alla creazione di spazi esterni comuni, che nell’attenzione data all'uso dei materiali e dei colori naturali, sempre in armonia con il verde, fondamentali per la qualità complessiva dell’edificio.

Dettagli dell'edificio quasi interamente rivestito in mattoni
La bella scalinata che conduce al cortile principale, quasi interamente rivestita e pavimentata in mattoni, oltre a condurre lentamenteverso il cuore dell’edificio, offre allo stesso tempo una panoramica notevole sui dintorni, dalle vicine Accademie di Svezia e di Romania a tutto il complesso di Valle Giulia e al di sopra del verde rigoglioso si può scorgere il rosso pompeiano della Facoltà di architettura di Del Debbio, che si trova proprio di fronte . 

Vedute dalla scalinata che conduce al cortile
L’Accademia di Danimarca si trova proprio in fondo a Via Omero, piccola strada quasi in quota con il laghetto di Villa Borghese, che forse si può chiamare la strada delle Accademie, visto che percorrendola si incontrano una dopo l'altra la egiziana, la olandese, la belga, la rumena e la svedese. Dall’altra parte rispetto all'avvallamento dove corre Viale delle Belle Arti, ci sono poi la British School e l’Istituto giapponese su Via Gramsci, mentre un po’ staccato nell'ultimo tratto di Viale Bruno Buozzi troviamo l’Istituto austriaco.

L'area di Valle Giulia e l'Accademia da Google Maps
La zona è senz’altro una delle più belle di Roma e se fossi un turista, e io che ci sono nato e ci vivo da sempre continuo ad esserlo, la inserirei sicuramente nei miei itinerari preferiti perché non è possibile perdere l’occasione di fare una passeggiata in un’area piena di verde tra Villa Giulia, Villa Borghese e la Galleria Nazionale di Arte Moderna.



academy of Denmark

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It almost seems likea provocation, especially if written ina blog like this, entitled Where isthe Italian architecture, but it is thetruth; one of themost beautifulcontemporary buildingsof Rome,andwithcontemporary I meanbuilt​​in the last50-70years, was designed by aDanish architect. 
It is not an ordinary building, but the Academy of Denmark, a gift from the Carlsberg Foundation, built on the design by architect Kay Fisker between 1962 and 1967 in the area of Valle Giulianear the pond of Villa Borghese, the National Gallery of Modern Art and the main Faculty of Architecture.  

Images from the folding of the Academy
In the websiteof the Academyyou can also findphotosof the inauguration, which took place withsolemn ceremonyon October 24,1967that Ipicked up andrepeatedbelow, for the record, but above all torealize howthe world has changedin these"few"years, which is quiteevident bothfrom clothingof the peopleand from the way of designing and constructingbuildings...

The inauguration of the Academy
IreneDeGuttryin his guideto the architectureofmodernRomehas included thebuildingjustin the indexbetween the works ofLucianoRubino,thencitedas a co-designer, while PieroOstilio  Rossirightlydevoted it a reportinwhich howeverdoesn’tmake any mentionofRubino’sparticipationto the project.Eventhe interestingsitearchidiaphasa web pagededicatedto the building, with drawings andphotos.

Images from archidiap and from the Guide of Rome by P.O.Rossi
I got to enter the Academyon the occasionof aconcert by agroup of youngclassical musiciansfrom Denmark,which was heldin the smalland elegant auditorium, located under themain courtyardon the lowest floorof the building, characterizedby the white of the walls and the equipped ceilingand by the beautifulwooden floor.
It can be reached directly from the first ramp of the long external stairway and once inside you have in front a small courtyardwith a contemporary sculpture in travertineand on the right the entrance to the corridor of distribution, that lead through the building to an elongated patio onto which all the rooms of the lowerlevel.


External common areas
The interior as well is characterized by therichness of materials, bricksforthe coating,wooden for doors andwindow frames, and of architectural detailsthat demonstrateaparticularattentionto the project andanuncommon sensitivity. 
The building, despite its soliditygiven by thegeometric purityof the volumesand by the useratherextensive of a material"heavy"asthebrick is,has an articulationthatmakes itlighterandfull ofdifferent and fragmented perspectives.


General views of the building from Via Omero
It consists of three main blocks of different sizes and heights, placed in a non-symmetrical way around a courtyard, much elevated above the street level, which is accessed via a long staircase "z" shaped, consisting of three flights.
The scandinavian lesson is quite evident both in the importance given to the creation of outdoor areas and in the attention to the use of naturalmaterials and colors, always in harmony with the green, key to the overall quality of the building.


Details of brick claddingandpaving
The beautifulstaircase leading to the main courtyard, almost entirely covered and paved with bricks, besides leading slowlytowards the center of the building, it offers a remarkable overview of the surroundings, the nearby Academies of Sweden and Romania to the whole complex of Valle Giulia and above the lush greenery you can see the Pompeian red of the Faculty of Architecture designed by Del Debbio and located just in front.


The views from the external stairway
The Academy of Denmark is right at the bottom of Via Omero, a small street almost in altitude with the pond of Villa Borghese, that maybe we can call the street of the Academies, because walking along it you meet one after the other with the Egyptian, the Dutch, the Belgian, the Romanian and Swedish.
On the other side of the depression where  Viale delle Belle Arti runs, there arethe British Schoolandthe Japanese InstituteofVia Gramsci,while a little'off in the last partofViale BrunoBuozziwe can find theAustrian Institute.

The area of Valle Giulia and the Academy of Denmark from Google Maps
This area is undoubtedly one of the most beautiful in Rome and if I were a tourist, that actually I am even if I was born and have always lived here, I certainly would put it in my favorite routes, because it’s not possible to miss a walk in an area full of greenery between Villa Giulia, Villa Borghese and the National Gallery of Modern Art.

Phyllis Lambert e gli architetti italiani

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Una delle cose che mi ha sempre enormementeimpressionato dell’Italia è il contrastotra i molti meravigliosi centri storici,ad esempio nei dintorni di Vicenza, dovesono stata di recente, o nell’area di Leccee in tutta la Puglia, e la pessima qualità dimolte aree residenziali intorno a essi. Vieneda chiedersi dove abbiano studiato gliarchitetti che le hanno progettate, o forsemolti di loro non erano nemmeno architetti.C’è qualcosa di molto sbagliato inquesto stato di cose.

Phyllis Lambert oggi (© JBC Média par Claude Gagnon)

Queste considerazioni di Phyllis Lambert sull'architettura contemporanea italiana, espresse in un'intervista rilasciata a Michela Rosso per il giornale dell'architettura hanno scatenato le ire degli architetti italiani, al punto che lo stesso giornale ha pubblicato una risposta piuttosto arrabbiata di un lettore/ architetto? alla Lambert. 
Livio Sacchi, presidente dell'Ordine degli architetti di Roma, parlando di New Urbanism americano in occasione delle giornate dedicate a Colin Rowe, ci ha tenuto a sottolineare quanti iscritti abbiano sollecitato una sua risposta ufficiale alle critiche, ma non credo che Sacchi abbia intenzione di rispondere, anche perchè secondo me è abbastanza d'accordo...

Il fatto che alla bellezza dei centri storici italiani, tra i quali obiettivamente è molto difficile trovarne uno di scarso valore anche tra quelli minori, si contrappongano vaste aree residenziali di una qualità urbana e spesso anche architettonica scadente, mi sembra una considerazione talmente evidente da non richiedere neppure un particolare commento. 
Aggiungerei poi il fatto che, proprio come architetto, mi sento ancora più responsabile per i disastri prodotti, spesso a causa di modelli abbracciati con eccessivo entusiasmo e poca capacità critica, anche se è piuttosto evidente che la colpa della bassa qualità delle porzioni di città realizzate in epoca moderna e contemporanea non è solo "nostra", come ho avuto modo di scrivere già inle colpe degli architetti.
Considerazioni di questo tipo sono già state espresse nel corso degli ultimi anni da vari personaggi, tra cui a memoria Paolo Portoghesi e Mario Botta, per citare solo i più illustri e mi sembra molto strano che noi architetti italiani non siamo in grado di vedere queste cose da soli.

Quello che trovo più discutibile della lettera di risposta è che, di fronte ad appunti di tipo urbanistico-architettonico, quindi di carattere culturale ed estetico, si risponda con considerazioni politiche, che, seppure valide, sono poco pertinenti rispetto al problema sollevato. Si elencano anche vari architetti italiani importanti del passato (quello elogiato dalla Lambert) e del presente, tra cui uno svizzero, Botta che è tra i più critici nei confronti della città contemporanea, senza cogliere a mio avviso il senso più importante del messaggio, cioè quello della bellezza della città come organismo, quindi nel suo complesso


La Lambert con Rem Koolhaas (© CCA)

L'intervista alla Lambert è dovuta al fatto che si tratta di uno dei personaggi del momento grazie al Leone d'Oro alla carriera assegnatole dalla Biennale di Venezia:
Non come architetto, ma come committente e curatore, Phyllis Lambert ha offerto un eccezionale contributo all'architettura.
Senza la sua partecipazione, uno dei pochi esempi di perfezione assoluta realizzato nel XX secolo, il Seagram Building a New York, non sarebbe mai esistito.
La creazione del Canadian Centre for Architecture di Montreal combina una rara visione con una rara generosità nel conservare episodi fondamentali del patrimonio architettonico, e permette di studiarli in condizioni ideali.
Gli architetti creano architettura; Phyllis Lambert ha creato architetti...
La Lambert, Mies e il modellino del Seagram Building
Oltre ad essere stata una protagonista fondamentale, come figlia del committente e poi vera committente operativa dell'edificio, nella vicenda della costruzione del Seagram Building di New York, a partire dalla scelta dell'architetto, un certo Mies van der Rohe, fino alla sua conservazione, ha anche fondato il Canadian Centre for Architecture di Montréal, una delle poche istituzioni mondiali dedicate alla diffusione della cultura architettonica e alla conservazione dell'architettura. Niente male come curriculum.




 
 

rovine moderne?

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L'articolo originale ¿Ruinas modernas?è stato pubblicato dall’architetto Alejandro Hernández Gálvez sul blog messicano Arquine, di cui è direttore editoriale.
Dopo averlo letto e aver apprezzato il tema scelto e molte delle opinioni espresse, ho contattato Alejandro e lui ha accolto con piacere il mio desiderio di pubblicarlo integralmente su questo blog, dopo averlo io stesso tradotto in italiano.
Gálvez riesce a cogliere, anche se in maniera molto personale, degli aspetti cruciali riguardanti l'architetttura moderna e contemporanea, sui quali credo ogni progettista dovrebbe riflettere con attenzione prima ancora di poggiare la matita sul foglio.

L'articolo con la foto della Ville Savoye prima del restauro

Durante i due periodi in cui è stato presidente della Francia, tra il 1981 e il 1995, soprattutto con il pretesto del bicentenario della Rivoluzione Francese, François Mitterand ha promosso la costruzione di vari progetti. Il Museo del Louvre si è ampliato e rinnovato con la piramide disegnata da I.M.Pei e, per svuotare un’ala del palazzo, Paul Chemetov ha progettato l’enorme edificio del Ministero delle Finanze a Bercy. E’ stata realizzata la Città delle Scienze nei terreni dell’antico mattatoio di Parigi, che dopo si trasformerà nel Parco de La Villette, di Bernard Tschumi, dove è stata costruita anche la Città della Musica, di Christian de Portzamparc. In un concorso lo sconosciuto Carlos Ott ha presentato un progetto per l’Opera della Bastiglia che molti hanno pensato fosse di Meier, il preferito di Mitterand.Un altro sconosciuto ma danese, Johan Otto von Spreckelsen, ha vinto il concorso per l’Arco della Defense. Jean Nouvel ha costruito l’Istituto del Mondo Arabo, mentre sempre sulle sponde della Senna, ma più ad ovest, Dominique Perrault ha battuto Meier, Tschumi, Koolhaas e Nouvel, tra molti altri, nel concorso per la Grand Biblioteque de France.Nonostante sia stata iniziata quando era in carica il suo predecessore Valéry Giscard d’Estaing, il cui architetto preferito era invece il catalano Ricardo Bofill, gli è toccata anche l’inaugurazione del Museo D’Orsay, dove l’italiana Gae Aulenti ha trasformato l’interno della stazione dei treni con un intervento che oggi si vede più pesante delle macchine che la occupavano prima.

Però non è solo il fatto che l’intervento sembri oggi passato di moda: si vede vecchia, maltrattata, sicuramente per l’abuso al quale sottomettono l’edifico ogni giorno migliaia di turisti – i bagni, sempre scarsi e molte volte sottosopra, ne sono la prova.La stessa cosa succede al Louvre, nonostante gli interventi si siano susseguiti anche dopo la realizzazione della piramide, che tante polemiche ha creato a suo tempo e di nuovo potremmo incolpare l’interminabile flusso di turisti che lo percorrono, con la cartina in mano, cercando l’opera maestra davanti alla quale bisogna farsi una foto – è inutile provare a vedere la Monna Lisa mentre, fuori da questa sala, altre quattro opere di Leonardo hanno un pubblico piuttosto contenuto. 

Comunque non si possono incolpare i turisti di tutto. L’Opera della Bastiglia, pur se meno frequentata da loro, ha comunque resistito male al passare tempo. In questo caso ci sarà chi incolperà l’architetto, inesperto, o la giuria per essersi confusa nell’attribuzione. Poi c’è la Grand Biblioteque, con al centro il suo bosco inaccessibile, che si può solo ammirare attraverso dei vetri che hanno già perso la loro brillantezza e trasparenza. La Villette e la Città della Musica, fino a dove immagino arrivano molti meno turisti, si vedono anche loro rovinate. Per caso Perrault, Tschumi o Potzamparc, che sicuramente sono stati e sono anche oggi più conosciuti di Ott, erano anche loro inesperti all’epoca in cui realizzarono queste opere?

O qual è il problema di tutta questa architettura che non ha resistito in buono stato neppure trent’anni? L’architettura moderna – usando il termine in maniera vaga, imprecisa, più che come stile o ideologia come pura datazione – sembra che non crei buone rovine. Questo lo sapeva Albert Speer, l’architetto di Hitler, ma non lo ha previsto Le Corbusier – le foto che ha scattato Victor Gubbins della Ville Savoye prima del suo restauro sembrano dimostrarlo, sebbene lui ricordi la rovina con nostalgia. Probabilmente Marsiglia e Chandigarh saranno rovine migliori. Non so se lo siano anche il Seagram o la Farnsworth.
 
Da Arquine - Ville Savoye in restauro

Qualche volta ho sentito dire che la pittura modernaesige da parte dei restauratori e conservatori gli stessi o maggiori sforzi di quella classica, antica. Sembra logico, è quasi darwinista: quelle opere del passato lontano che non hanno avuto le condizioni per resistere accettabilmente al passare del tempo sono scomparse. Però ha anche a che vedere, senza dubbio, con le tecniche utilizzate. Gli antichi dipingevano seguendo tecniche conosciute e sperimentate, il loro apprendistato era parte di quello che doveva dominare un maestro e si considerava un segreto essenziale del mestiere. I moderni sperimentano, anche più con le tecniche e i materiali che con le forme. Facciamo un quadro con pittura di auto e pezzi di cera, vediamo che succede. Dopo dieci anni e prima di cento il viola diventa blu e le superfici sono crepate.
All’architettura moderna e contemporanea le è successa la stessa cosa. Abbiamo scoperto tardi che il coronamento, che abbandonammo quando abbiamo mandato al diavolo la "venustas"perché l’abbiamo fatta sedere sulle ginocchia e l’abbiamo trovata amara, ha influenzato anche la "firmitas", che abbiamo perduto nella sabbia: gli edifici non cadono, si sbriciolano; la pioggia e la polvere non danno una patina: li macchiano; e le crepe non gli danno carattere, non li rendono rovine: (semplicemente) si rovinano.
 
 


Piuarch best italian architectural firm 2013

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Just some days ago the Italian Architects network announced the callsfor the awardsto theItalian architectsof 2014 and in the jury we find also Francesco Fresa, partner of Piuarch, the office winner of 2013 edition.

Chosen from the 70 nominations made ​​by the  members of the 105 provincial architects boards, Piuarch- composed by Francesco Fresa, Germán Fuenmayor, Gino Garbellini and Monica Tricario - was considered emblematic example of how you can achieve a high architectural and urban quality from the complexity of the forces that act on the transformation of the environment today, expressing a significant abilityto actually dialogue with different cultures, expectations, financial and technical resources.
Some project built by Piuarch, such as Congress Center in Riva del Garda, Bentini Headquarters in Faenza, Four Courts in San Pietroburgo, the subsidized housing complexin Sesto San Giovanni, Offices of Porta Nuovain Milan,show, in fact, as youcan pursuenew forms ofurbanityand newareas of life andworkinprofessional conditionsinprofoundand continuous change. (Press Release CNA)

PIUARCH

Seventeen years of activity, 10 works realizedin Italy,  40 stores around the world, a turnover around 2 millions of euros. Four partners and six associates who in January will become 11, around 35 people. These are the numbers that describe in figures the work of the Milan office Piuarch, led by fifty year-old Fresa, Fuenmayor, Garbellini and Tricario
(Paola Pierotti on Edilizia e Territorio)  
 

The studioopened in 1996, has developed numerousprojectsat different scalesandfor different typesof work bothinItalyand abroad.Here is theirphilosophy: In our project approach, architecture is always related with the context, the individual building is always seen first as a part of the whole. Every building must dialog with the history, features and needs of a particular place and time. Meanwhile our architecture is modern, it uses a contemporarylanguage, but always takes its cue from the specific character of the site. We design buildings with a strong identity, which enrich the urban fabricin which it is included, at the same time respecting it.

TheItalianArchitectPrize, 2013, as well as thatfortheyoungtalentof Italian architecture 2013, wonby FabrizioBarozzi, have been bannedfor the Feastof the Architect2013, whichtheCNAPPCestablishedin the occasionof theninetiethanniversaryof the foundation ofarchitects board, the  June 24thof 2013, withthe aim of identifyingannuallya day for celebrating, atnational and local level, the architecture and its protagonistsas central elementsof a processcapable of enhancingthe quality of theproject in itshigher civil and cultural aspects.

On the June 24thof 1923in factwasapprovedthe law on"Protection of titleand professionof architectsrecognitionfundamentalto ensureto Italian citizens thatarchitecture would carry on bypeople whohadthe culture andtechnical expertise and whorespectedethical principlesin dealingwith the companyandwith the customer.
 

la critica dell'architettura

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Joseph Rykwert, storico dell'architettura inglese, ha scritto un articolo dal titolo piuttosto esplicito  Ma la critica conta qualcosa? pubblicato su Domus lo scorso aprile.


Proprio nello stesso periodo uno dei critici americani di architettura più influenti, Paul Goldberger, in precedenza al New York Times e vincitore del premio Pulitzer, ha lasciato il prestigioso The New Yorker per andare a lavorare a Vanity Fair.

Paul Goldeberger


Se poi aggiungiamo ai segnali di difficoltà il fatto che una delle Mostre di architettura più importanti del mondo, la Biennale di Venezia, abbia come direttore dell'edizione in corso non un critico, uno storico o un curatore, ma uno degli architetti contemporanei più famosi e discussi, Rem Koohlaas, che rientra a pieno titolo nel ristretto gruppo delle archistar, il quadro diventa ancora più completo.

Koolhaas - photo fred ernst

Sono fatti molto diversi, ma probabilmente contribuiscono tutti ad evidenziare le difficoltà che incontra oggi la critica in architettura, soprattutto leggendo le parole e le riflessioni di Rykwert, che giustamente si chiede quanto questa possa apparire irrilevante agli occhi di un architetto di riconosciuta fama mondiale e dei suoi committenti e ammiratori.



Il discorso critico pare ancor meno rilevante per quegli edifici la cui stravagante massa imbratta oggi le pubblicazioni del settore... 

Enormi vele spiegate e gigantesche caffettiere, cetrioli e porcospini sembrano presentarsi al critico come entità che lo sfidano a dipanare matasse disperatamente ingarbugliate...

Eppure, dinanzi a tali rompicapo, il critico non deve togliere il cappello di pensatore, ma calcarselo bene in testa, fare attentamente i conti con quelli che sembrano apparire degli aspetti dozzinali in architetture apparentemente straordinarie: in che modo, per esempio, è risolto il contatto tra edificio e terreno? Come sono gestiti gli ingressi pedonali e in che modo sono distinti dall’accesso per i veicoli? Com’è organizzato il transito del visitatore verso i piani superiori? E qual è il rapporto tra queste zone di circolazione e il passaggio dagli spazi pubblici a quelli semi-pubblici? Un vero critico dell’architettura, per capirlo, deve leggere una pianta con pervicace puntiglio. 

E ancora: qual è il legametra la struttura e l’aspetto materiale dell’edificio, e come si configura il rapporto tra la più stravagante delle configurazioni e il modo in cui la costruzione si colloca nel suo ambiente? E qual è, ammesso che ci sia, il contributo che essa dà alla composita immagine della città della quale è un componente? Il critico è inoltre perfettamente giustificato se indaga come l’edificio sia percepito sia dai suoi utilizzatori sia dal pubblico in generale, dato che tali reazioni fanno sicuramente parte di qualsiasi arsenale metodologico...

Sono sempre stato convinto che il critico debba essere un combattente. Per esserlo, è necessario naturalmente avere una base da cui operare – non solo quella ovvia di un quotidiano, di un periodico, di un programma radio o TV o magari di un blog – da cui rendere pubbliche le proprie opinioni, ma è necessario, più intimamente, possedere una nozione chiaramente articolata di quello che si pensa la società debba aspettarsi da chi costruisce le sue strutture. 

Infine, il critico deve avere un concetto sufficientemente chiaro delle aspettative della società, del modo in cui l’architetto può contribuire o non contribuire al bene comune. Tutto questo va benissimo, ma perché dovrebbe contare, e per chi? Sul breve termine, l’effetto delle parole di un critico può anche non essere così ovvio – di certo non per le archistar, che, come le popstar, non ne sono toccate – per quanto non sia un segreto che alcuni architetti possano esservi sensibili, a volte anche al punto da minacciare la causa per diffamazione. 

Forse più importante è l’effetto su quanti commissionano un edificio, che tendono a considerarsi dei mecenati se non dei benefattori, e così vedono qualsiasi dibattito su prodotti della loro magnanimità come una maniera di mettere in dubbio il loro buon nome. Tali rischi non fanno altro che suggerire come le parole del critico impegnato non siano tutte inutili, e che oltre qualsiasi risentimento esse possano benissimo promuovere la riflessionee magari guidare i partecipanti al processo di realizzazione dell’edificio a cambiare il loro approccio.
Più attivamente, i critici a volte prendono parte a concorsi e siedono nelle giurie di premi che richiedono il loro coinvolgimento nelle decisioni progettuali... 

Quindi, anche se si vuole essere alla moda e stupire tutti con le forme più originali, non si può comunque prescindere dalle funzioni reali che l'architettura è chiamata da sempre a svolgere per i suoi utenti e più in generale per il funzionamento della città.
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